Marco Neirotti
Frammenti. Colori in marmo

Incontro con Enzo Sciavolino

24 NeirottiHai scelto per tema i frammenti, dunque, la parzialità. Non temi di essere riduttivo?
«Al contrario, I frammenti sono l’inizio di un cammino, il momento in cui lo si intraprende. E sono la forma emblematica per orientarsi in esso. Si parte da una porzione, dai suoi limiti, e si sfonda, si va oltre. Nel cinema, per esempio, il primo piano – un labbro, un naso, un occhio – diventa protagonista assoluto, interloquisce direttamente con lo spettatore, più di un campo lungo che abbraccia la visione totale».
Proponi una sorta di primo piano come fondamento di un successivo campo lungo, in parte gestito dallo spettatore?
«Propongo frammenti di storie, di natura, di realtà che sono porzioni di sogni, di memoria nella battaglia per la verità, che è poi la poesia».
Una verità cosi impostata è fatta di ipotesi aperte. Come nel gioco delle maschere?
«È un luogo comune il fatto che la maschera nasconda il volto. In realtà lo rivela anche: la verità di quella maschera si incontra ad un dato momento con la verità del volto su cui è calata. Come nel Mito».
Il Mito è un tema a te caro, ma c’è il rischio di equivoci: il Mito cui ti riferisci non è quello antico della sacralità, ma è l’ambiguo – antico e attualissimo – rapporto tra due categorie: essenza e manifestazione.
«Mito altro non è che racconto. È il manifestarsi in forme visibili di una immagine, di un mondo invisibile che opera attraverso un’altra verità in cui, come dice Eraclito, i contrari ne sono la sostanza. È l’Uno, nessuno, contomila di Pirandello. Nel Mito avviene una cosa e un’altra appare, una cosa appare e un’altra avviene. La realtà è sempre al di là della frontiera della rappresentazione, poiché, citando Nietzsche, non esistono fatti ma solo interpretazioni».
Allora per te artista la scelta è radicale: offrire interpretazioni oppure fatti oggettivi da interpretare.
«Fatti oggettivi, naturalmente. E che cosa sono i fatti oggettivi? Sono frammenti di metamorfosi in una temporalità plurale, concreta, reversibile, in continua cancellazione dei confini. Ecco allora la tensione a far sì che in una figura, in una forma, convivano più immagini diverse e che mantengano in questa unità la loro differenza. E che da questa unità in conflitto scaturisca il mutamento, la trasformazione delle forme che, cancellando i propri confini, si trasfigurano in nuove immagini, nella confluenza dal mondo delle idee al mondo delle cose sensibili».
Differenze nell’unità. Lo proponi, questo concetto, direi anzi che lo imponi, o almeno lo esalti, con una innovazione: il grido del colore, dei particolari colorati inseriti sul marmo.
«Il colore è una porzione di realtà e viene ad unirsi ad un’altra porzione di realtà, forse più ampia ma altrettanto parziale. Unendosi svela la verità, l’essenza del loro insieme. Realizza la trasfigurazione».
È possibile una prima reazione di sconcerto: un elemento ci offre la verità dell’altro?
«Partiamo proprio dall’ambiguità delle cose: possono esserci o non esserci. Qualcosa le rende visibili. Un volto, un frammento di corpo, una cosa, un oggetto, un evento sono inanimati quando sono irrigiditi in una catena di equivalenze e identità. I volti, le cose, gli oggetti, gli eventi diventano vivi nel mutamento, nelle metamorfosi, nelle trasformazioni. È solo in questo processo di trasfigurazione che possiamo cogliere l’unità di un volto umano. Le forme mutano e l’anima muta di fronte al mutare delle forme».
Voltaire diceva: “Non vi è nessuna certezza, quando è fisicamente o moralmente possibile che la cosa sia diversa da come noi la vediamo”. Non a caso Voltaire è uno dei tuoi riferimenti.
«Siamo di fronte a frammenti di una contesa in cui la vittoria stà nella possibilità di sperimentare e di produrre la trasfigurazione delle cose per liberarle dal dominio dell’inganno del mondo visibile o dalla ignavia del luogo comune. La verità – la poesia quindi – stà nella tensione di due ipotesi. Il mio stile si accampa nel presentare con pari importanza entrambe le ipotesi, entrambe le soluzioni».
Insisti molto su Mito e trasfigurazione, su visibile e invisibile. Che cosa è per te visibile?
«Il compito dell’arte – almeno come io lo concepisco – non è soffermarsi al dato di fatto. Un uomo non è un uomo senza la sua ombra. Ma se compito dell’arte è cogliere la totalità di quell’uomo, è suo compito anche rivelarne l’ombra. Forse proprio rivelando l’ombra se ne avrà la vera identità, come nella maschera. L’invisibile è il dato che il luogo comune non coglie. La poesia, una certa poesia, lo coglie».
L’arte della verità – la scultura e quella poesia che tu ami, Pasolini per intenderci – non hanno dunque confine? Insomma, tutto è rappresentabile, anche l’invisibile?
«Kafka direbbe che c’è qualcosa di più forte del canto delle sirene: il loro rovinoso silenzio».

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